La chiesa nei secoli

Fondazione e leggende
L’origine del complesso monumentale di Vezzolano è incerta. Una leggenda assai simile a quella che riguardò la Sacra di San Michele parla di frane che danneggiarono la chiesa costruita in loco di fronte all’attuale. Furono recuperati i materiali per riedificarla più a monte, ma una seconda frana li spostò a valle ed il fatto fu considerato un segno divino, così che la chiesa sorse la dove Dio aveva indicato. Una terza frana danneggiò in modo irreparabile il castello e cancellò il luogo dove esisteva la prima chiesa.
Quanto alla origine storica reale, la destinazione del sito alla edificazione è fatta  risalire  ad  epoca romana.
II Bosio, facendo riferimento ad un’antica iscrizione ritrovata nella zona, accenna ad un primitivo insediamento romano; frammenti di embrici dell’epoca romana sono stati ritrovati in una vigna nei pressi della cascina Betlemme (tra Vezzolano e Pogliano II Settia sostiene che Vezzolano sia nato come cappella privata di un castello fabbricato probabilmente con i resti di una villa romana.
L’influenza carolingia sulla primitiva edificazione rimane indimostrata, l’influenza araba resta fantasiosa, resta in attesa di prove convincenti lo stretto legame che taluni vogliono intravvedere tra il moto del sole, della luna e l’asse della chiesa.

Documenti
Primo documento che si riferisce alla Prepositura di Vezzolano (giuntoci solo in copia del secolo XVIII ) risale al 27 febbraio 1095. Si ipotizza la chiesa sia sorta nel periodo della riforma gregoriana attraverso una “rifondazione canonicale” per iniziativa di un consorzio di famiglie signorili, di Radicata, San Sebastiano, Moncucco, Pogliano Vergnano e sui loro possessi.
Secondo un modello documentato anche per altre canoniche regolari fondate in Piemonte nell’età della riforma ecclesiastica, il gruppo dei signori fondatori  istituisce  una canonica di castello a Vezzolano, e investe alcuni presbiteri del ruolo di sanctae Veciolanensis ecclesiae officiales.
Ai presbiteri a condizione che facciano vita comune “secondo la regola canonica” viene conferita la proprietà dei beni presenti e futuri appartenenti alla Chiesa di Vezzolano.
Nella  disputa fra Papa e Imperatore La Canonica, che  rivendicava  la  sua  qualità  di  ente  nullius  dioecesis  dipendente direttamente dal papa, era nel contempo disputata dall’Imperatore e dai feudatari di parte imperiale.
Da qui un alternarsi di fedeltà dei Canonici pro e anti imperiali, con rovesciamento dei segni araldici,  secondo quanto ricostruito da Settia.

I possedimenti
Vezzolano possiede molti territori, al di qua e al di là del Po, riceve decime e diritti su diverse chiese, situate nelle diocesi di Vercelli, Torino e Ivrea, dai rispettivi vescovi.
Tra queste, la chiesa di Santa Maria nel castello di Crea, ceduta dal vescovo di Vercelli nel 1152 che fu priorato dipendente da Vezzolano fino al 1485.

La svolta “commendatizia”  e la disciplina tridentina
Nel 1405 la canonica ed i suoi priorati, a cominciare dai più ricchi, furono assegnati a chierici secolari, che ricevevano in commenda (affidamento) proprietà e rendite di beni e terreni. Commendatari furono membri di potenti famiglie aristocratiche, quali i Lascaris conti di Ventimiglia, i Fieschi, gli Altemps, i Galliano, i Doria del Maro.
Del 1494 è il passaggio a Vezzolano di Carlo VIII di Francia, reduce da Chieri,  rappresentato  nel trittico in terracotta sull’altare nel personaggio di sinistra, piccolo e tozzo, orante con i gigli di Francia.
Dopo che il Concilio di Trento  impone una più stretta disciplina, le visite pastorali della Diocesi di Casale alle chiese di Albugnano toccano anche Vezzolano,  nonostante le resistenze opposte dei prevosti e dei loro vicari, che rivendicano l’appartenenza dei canonici ad “alieno dominio” (papale).
La visita del 1584 chiede (senza esito) di levare  il “choro in mezzo alla chiesa” secondo le prescrizioni del Concilio.
Una tradizione  raccolta dall’erudito astigiano De Canis  racconta della visita in incognito di Carlo Borromeo: “Nel decimo sesto secolo la corruzione in quel cenobio giunse a tal punto che que’ padroni, deviando dalle regole di S. Agostino, s’abbandonarono ad ogni sorta di stravizi e di dissolutezze a tal punto, che ne fu istrutto il santo arcivescovo di Milano, Carlo Borromeo. Questo degno prelato, che fece tanto bene alle diocesi della sua metropoli dipendenti, approfittando di un suo viaggio a Vercelli determinò di far una scorsa a Vezzolano tenendo il più rigoroso incognito.
È fama che nel giorno in cui S. Carlo arrivò colà fingendo d’essere un semplice prete viaggiatore che, sorpreso dalla notte, era costretto a chiedere l’ospitalità presso quei monaci, avessero costoro ivi raccolta una moltitudine di persone, fra cui diverse leggiadre donne, onde passarsela in amena conversazione, e che perciò il santo arcivescovo sia stato ocular testimonio dell’irregolare condotta di quegli individui; che in conseguenza, dopo il suo ritorno a Milano, abbia irremissibilmente ordinata la soppressione dei canonici di Vezzolano. Di questo avvenimento, sebbene non mi siano caduti sottocchio dei documenti, egl’è d’altronde certo che una perenne tradizione ne lo assicura, massime nei paesi confinanti e circonvicini al detto monastero”.

Vezzolano  fra Sei e Settecento
Con la  pace di Cherasco (1631) il territorio di  Vezzolano  passa ai duchi di  Savoia  ed il  prevosto Cesare Galliano, prontamente schieratosi con i nuovi principi, ottiene la dignità di gran priore dell’Ordine Mauriziano. Dal 1648 al 1657, fu prevosto commendatario il cardinale Maurizio di Savoia, il cui stemma è effigiato nella Sala degli Abati.
Una leggenda comincia a prendere corso, con l’obiettivo di restaurare gli antichi privilegi dell’abate commendatario Ottaviano Galliano e dei suoi fratelli: il monaco Filippo Malabajla narra (o piuttosto immagina) che Carlo Magno, durante il suo soggiorno ad Asti, si recasse a caccia nella selva di Vezzolano, dove uno scheletro umano si levò in piedi davanti a lui. Immediatamente dopo si fece avanti un eremita, che invitò il sovrano a far edificare una chiesa, dotandola delle terre di Albugnano e di altri beni, in grado di sostenere i monaci che egli intendeva raccogliere.
I fratelli Galliano, appoggiati dal Malabajla, spacciarono questa leggenda come storia vera, per dimostrare che i privilegi feudali, dei quali Vezzolano godeva, erano stati loro concessi direttamente da Carlo Magno. Invenzione che non ebbe successo di fronte al feudatario insediato dai Savoia, ed ai diritti accampati dal vescovo di Casale.

Contro i Francesi e sotto i Francesi
Al Settecento va ascritta la perdita dei manoscritti su cartapecora,  la cui responsabilità è attribuita alle truppe francesi (1703) e più probabilmente a don Simone Marchisio di Aramengo, vicario a Vezzolano tra il 1704 e il 1745. Questi, ritenendoli indecifrabili, in parte se ne servì per fare turaccioli per bottiglie e per incartare robiole, in parte li donò alle donne che li avvolgessero attorno alle rocche per filare. Il fatto è citato dal Settia, il quale fa riferimento ad uno scritto del Vernazza.
Arrivati i Francesi a fine ‘700, la vecchia provincia di Asti fu aggregata al dipartimento del Tanaro, creato nel primo effimero  periodo di occupazione (1799); ma Albugnano, Bagnasco, Berzano, Capriglio, Castelnuovo, Cinzano, Moncucco e Mondonio presentarono ricorso per entrare nel dipartimento dell’Eridano, con gravitazione amministrativa su Torino [A.S.T., Ricorso del Comune di Castelnuovo d’Asti].
Intanto nel 1800 il governo napoleonico del Piemonte trasferisce beni e possedimenti di Vezzolano al governo nazionale; la chiesa diventa cappella campestre della parrocchia di Albugnano; nel 1805 il chiostro e gli edifici connessi sono venduti all’asta ed acquisiti da privati.

L’Ottocento e gli studi eruditi
La Chiesa di Vezzolano dalla metà del secolo XIX è stata fatta oggetto di  studi storici frammisti ad elementi di tradizione e leggenda.
Il primo lavoro è di Antonio BOSIO, dell’antica Abbazia e del Santuario di Nostra Signora di Vezzolano presso Albugnano, dal titolo: Memorie storiche, Torino 1859. Segue il Barone Giuseppe Manuel di S. Giovanni con: Notizie e documenti riguardanti la chiesa e prepositura di S. Maria di Vezzolano nel Monferrato ed illustrate con disegni dal Conte Edoardo Mella, in Miscellanea di storia italiana, edita per cura della Regia Deputazione di Storia Patria. Tomo I. Torino Stamperia Reale 1862. Nel 1895 la Chiesa viene riconosciuta come monumento nazionale sotto la tutela delle Belle Arti, allora comprese nel Ministero della Pubblica Istruzione (v. E. BRACCO, Luoghi romiti: Santa  Maria di Vezzolano,“ Emporium” , vol. VI, 1898).

Il Novecento
Il podere, già di proprietà di Edoardo Serafino, avvocato di grido e Segretario del Consorzio agrario di Torino, fu donato dalla sorella Camilla Serafino nel 1926 alla Accademia di Agricoltura di Torino. Accogliendo la donazione “composta di fabbricati civile e rustico di cui fa parte il celebre chiostro [dell’abbazia] nonché terreni a varia coltura”, l’Accademia si impegnava ad istituire nel podere una scuola per l’insegnamento teorico pratico d’agricoltura intitolata a Giacomo Filippo Serafino. Nel 1938 l’intero complesso monumentale fu acquisito dal Ministero dell’Educazione Nazionale, Direzione Generale delle Antichità e delle Belle Arti, da cui è pervenuto nel tempo all’attuale Ministero dei Beni e Attività Culturali e del Turismo. Nel 2015 il complesso è stato affidato al Polo Museale del Piemonte, struttura periferica della Direzione Nazionale Musei del MIBACT.